mercoledì 15 ottobre 2025

Renato Olivieri: Hotel Mozart

 


Se gli avessero detto che quell'uomo, trovato morto al volante di una Mercedes grigia, in una mattina piovosa di ottobre, avrebbe portato un certo scompiglio nella sua vita, Ambrosio non ci avrebbe creduto. 
Si era quasi abituato a questo suo mestiere, e qualche volta si scopriva persino insensibile, o poco ricettivo, di fronte ai fatti affliggenti che lo sfioravano giorno dopo giorno. Pareva, all'inizio, un omicidio di ordinaria amministrazione, ammesso che il delitto possa essere considerato un evento del tutto usuale    - e per un poliziotto purtroppo lo è - invece, nel corso di poche ore, i proiettili calibro 38 che avevano colpito in via Leoncavallo Spartaco Proserpio al torace e al collo, lo condussero in un'avventura, è il caso di dirlo, imprevista e, per certi aspetti, allarmante.
Era stato chiamato presto, quella mattina. Si era alzato da poco, aveva guardato il cielo ancora scuro, e si era detto che era un tipico cielo da lunedì; Emanuela non aveva trascorso con lui la domenica perché era stata invitata da una collega che possedeva una casa in un bosco, ai bordi di un lago molto piccolo e, a detta di Ambrosio, molto tetro, da suicidio, o anche da omicidio, secondo i gusti. Sorrise mentre mangiava uno yogurt alla frutta e controllava la macchinetta rossa del caffè, dono per il suo compleanno; se lo preparava come al bar.
Sorrise un po' meno quando lo avvertirono che avevano bisogno di lui e che gli avrebbero mandato un'auto, tra cinque o sei minuti.
«Si chiamava Proserpio» disse De Luca. Era già arrivato con una Volante, il fazzoletto in mano, l'aria più mesta del solito.
«Hai preso un'aspirina e della vitamina C?»
«Sì, commissario» rispose De Luca, scuotendo tuttavia la testa, per dire che nessun accorgimento lo avrebbe salvato dal suo destino che, in quel periodo, gli era avverso.
«Stiamo aspettando il magistrato e il medico» aggiunse, soffiandosi il naso.
«Aveva documenti d'identità?»
«Il passaporto, tessere varie, biglietti da visita. E anche due buchi nel cappotto» rispose, mentre Ambrosio stava osservando la Mercedes con il cadavere reclinato sul volante, la testa spostata a sinistra, un occhio semichiuso, l'altro quasi aperto in una fissità che aveva qualcosa di arcigno, da manichino abbandonato.
«Li hai presi tu, i documenti?»
«Sì, appena siamo arrivati. Ho aperto la portiera di destra e ho infilato la mano nell'interno della giacca. Mi sono anche sporcato di sangue.» Lo guardò di malumore, si soffiò ancora il naso e disse: «Ha sessant'anni appena compiuti. E sa quando li ha compiuti?».
«Quando?»
«Ieri» rispose, come se fosse stata una scoperta essenziale alle indagini.
Ambrosio guardò la strada, a cinque minuti da piazzale Loreto: da una parte, proprio dov'era stata parcheggiata l'auto del delitto, c'era la rimessa dei tram, dall'altra alcune case a quattro piani annerite dallo smog, che avrebbero avuto bisogno di una ripulita, le persiane quasi tutte chiuse; qualcuna delle finestre era illuminata, ma le luci erano fievoli. Più avanti un orologio, che si alzava sul marciapiede, e sovrastava una pubblicità di porte blindate, segnava le sette meno un quarto.
Prese il passaporto, lesse l'altezza della vittima, un metro e novanta, chiese: «Avete avvertito qualcuno della famiglia?».
«Ho preferito aspettare lei.»
Arrivò anche un'auto dei carabinieri e Ambrosio decise che se ne occupasse l'ispettore, nonostante fosse raffreddato. Lui continuò a girare intorno all'auto grigia, senza toccare nulla. Non voleva discussioni con quelli della scientifica, che non avrebbero trovato, c'era da giurarlo, impronte di qualche importanza. A suo parere l'assassino si era seduto accanto al Proserpio, perché lo conosceva, probabilmente aveva l'arma in tasca, e lo aveva colpito in fretta con due colpi al torace, stando ai buchi nel cappotto, e uno al collo, sotto il lobo dell'orecchio destro.
All'angolo della via c'era un locale che si chiamava "Baia del pescatore", una trattoria economica con un bar, e in cortile il gioco delle bocce, che ad Ambrosio rammentò certi posti dei film di Carné, che a lui piacevano quand'era ragazzo, e andava a vederseli, almeno un paio di volte, al cinema Porpora, di domenica. Un tavolino in quel locale diventò, per il momento, il suo ufficio. Ordinò un caffè molto lungo, e volle un cognac: due cucchiaini li mise nel caffè, il resto lo passò, e non ci fu verso di contraddirlo, a De Luca, che ne aveva bisogno per vincere - decise - i bacilli dell'influenza.
«Hai visto dove abitava il morto?»
«In via San Martino» rispose De Luca tossendo. Non era mai stato propenso ai superalcolici.
«Sui biglietti c'è il nome di una ditta di import-export che ha la sede in via del Carmine,» aggiunse «dev'essere sua perché ne aveva sette, di quei biglietti, tutti insieme nel portafoglio. Non ho frugato nelle altre tasche.»
«Vedremo più tardi, aspettiamo che lo portino all'obitorio. Per adesso mi basta la fotografia del passaporto. A proposito: chi ha chiamato la Volante?»
«Mezz'ora fa, uno che ha detto che in via Leoncavallo c'era un morto dentro una Mercedes. Tutto qui. Poi ha messo giù. Siamo arrivati in un quarto d'ora, e ho fatto telefonare subito a casa sua, commissario.»
Tornò a bere un sorso di cognac, come se fosse stata una medicina. Sternuti.
Il locale era animato, c'erano operai dell'azienda tranviaria, manovratori, un tassista e una vecchia fruttivendola, e tutti osservarono, scuotendo il capo, la fotografia sul passaporto di Spartaco Proserpio, importatore-esportatore, stando ai suoi biglietti da visita. Ambrosio notò, e gli succedeva spesso di rendersene conto, che tutti i presenti parlavano a voce bassa, come se il cadavere fosse stato lì, nella stanza, e non in un'auto dall'altra parte della strada.
«Che tempi!» disse la fruttivendola. «Non più tardi di una settimana fa hanno trovato qui, sotto il ponte della ferrovia, una donna morta, uccisa anche lei da qualche balordo, di notte. Madonna santa, che tempi. Mica come una volta, allora si girava tranquilli, altroché.»
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