mercoledì 29 ottobre 2025

L’arte giapponese di essere sempre fortunati, di Nobuko Nakano







Confesso: sono caduta nella trappola del titolo. “L’arte giapponese di essere sempre fortunati” suonava come la promessa perfetta per chi, come me, ha l’impressione che la sfortuna abbia preso la residenza fissa nel proprio salotto. Il libro di Nobuko Nakano sembrava il manuale ideale per trasformare ogni giornata storta in una pioggia di quadrifogli. Purtroppo, dopo qualche capitolo, ho capito che la fortuna non è arrivata. Al massimo, è arrivata la noia.

L’autrice è una neuroscienziata giapponese di grande esperienza, questo va detto. Ma il tono e la struttura del testo ricordano molto quei manuali di autoaiuto che si leggono tutti con lo stesso copione: “sii positivo, sorridi, credi in te stesso”. Ecco, qui è più o meno la stessa storia, solo con un tocco orientale e molte ripetizioni. Si parla tanto di atteggiamento mentale, di ottimismo e di “visualizzare il successo”, ma il problema è che dopo le prime venti pagine sembra di leggere sempre la stessa frase in loop, solo con parole diverse.

Leggendo mi è venuto spontaneo pensare che se bastasse dire a se stessi “sono fortunato” per attrarre la buona sorte, l’intera umanità sarebbe ricca, felice e con un arcobaleno personale in tasca. Invece la realtà è un po’ più complessa. E questo libro, pur volendo semplificare, finisce per banalizzare. Ti dice che la fortuna si costruisce ogni giorno con le proprie scelte, che bisogna rischiare un po’, essere grati, adattarsi ai cambiamenti… cose verissime, ma che chiunque con un minimo di vita vissuta ha già imparato da solo. Insomma, più che una rivelazione, è un riassunto dell’ovvio.

La Nakano cita spesso esempi scientifici, ma lo fa in modo superficiale, come se bastasse aggiungere la parola “neuroscienza” per rendere tutto più credibile. Peccato che le spiegazioni non vadano mai in profondità. Si resta sempre sul livello del “pensa positivo e il cervello si adatterà”. Il che può anche essere vero, ma non serve leggere duecento pagine per scoprirlo.

Forse il punto più debole del libro è la mancanza di storie vere. Ci sono pochi esempi concreti, nessun racconto personale che renda il tutto più vivo. Tutto suona teorico, distante, e a tratti quasi scolastico. Sembra di seguire una lezione universitaria fatta però da un professore troppo gentile per dire qualcosa di davvero incisivo.



Io, per esempio, avrei voluto leggere di qualcuno che ha davvero cambiato la propria vita con questo metodo. Una persona comune, magari con una storia un po’ buffa o commovente. Invece no: ci sono solo indicazioni generiche, come “cerca le opportunità”, “esci dalla tua zona di comfort” e “mostra gratitudine”. Ecco, se questo è il segreto per la fortuna, mi sa che lo conoscevo già dai tempi della scuola elementare. Mancano proprio le “chicche”, quei dettagli che rendono un libro di crescita personale qualcosa di memorabile e non un elenco di buone intenzioni.

Anche lo stile non aiuta. È pulito, certo, ma piatto. Nessuna frase ti resta davvero impressa. Non c’è ironia, non c’è poesia, non c’è nemmeno quella saggezza zen che spesso rende piacevoli i libri giapponesi. Tutto è così educato, così prevedibile, da sembrare scritto da un’intelligenza artificiale programmata per non disturbare nessuno. A un certo punto ho iniziato a chiedermi se la vera lezione del libro non fosse un’altra: la fortuna, in fondo, è riuscire ad arrivare alla fine senza addormentarsi.

La parte dedicata al “pensiero positivo” è quella più lunga e, paradossalmente, anche la più ripetitiva. Viene ribadito cento volte che bisogna coltivare la gratitudine, ma mai spiegato come farlo in modo realistico. Dire “grazie” al mondo va bene, ma se ti arriva una bolletta da centinaia di euro, serve un po’ più di sostanza. E anche i consigli sul rischio e sulla resilienza sembrano scritti per persone che vivono in una bolla perfetta, dove tutto è possibile e non esistono limiti pratici o economici. Un po’ di realismo, ogni tanto, non guasterebbe.

Non fraintendetemi: non è un libro dannoso, semplicemente è inutile. È come scoprire che “bere acqua fa bene” dopo una vita passata a bere.

La Nakano scrive con buone intenzioni, e si percepisce il desiderio sincero di aiutare i lettori a guardare la vita con occhi diversi. Ma la sostanza è poca, e le idee si ripetono all’infinito. Alla fine non resta nessun concetto nuovo da portarsi dietro, nessuna frase da sottolineare. Solo la vaga sensazione di aver passato un pomeriggio a leggere la versione giapponese di “pensa positivo e andrà tutto bene”.

Il paradosso più grande? Il libro si chiama L’arte giapponese di essere sempre fortunati, ma la mia fortuna, quel giorno, sarebbe stata non comprarlo. Forse la vera lezione che mi ha lasciato è questa: prima di credere alle promesse di un titolo, leggi qualche pagina. La sfortuna, a volte, si presenta proprio sotto forma di manuale motivazionale.

Per chi ama il genere della crescita personale e cerca qualcosa di leggero da leggere in treno, può andare bene. Ma chi spera di trovare un metodo concreto, innovativo o almeno un po’ brillante, resterà deluso. È come aprire un biscotto della fortuna e trovarci dentro scritto “la fortuna è nella tua mente”.

Sì, grazie. Ma un po’ di contenuto in più non avrebbe guastato.

In conclusione, L’arte giapponese di essere sempre fortunati è un libro che tenta di unire neuroscienza e filosofia zen, ma finisce per somigliare a una lunga chiacchierata motivazionale che non lascia tracce.

Forse la fortuna non si impara leggendo: si costruisce vivendo, e questo la Nakano, paradossalmente, sembra dimenticarlo. Una lettura carina, sì, ma se cerchi un po’ di vera ispirazione o un approccio pratico alla crescita personale, meglio puntare altrove. O almeno, comprare un gratta e vinci: lì, almeno, hai una probabilità concreta di sentirti davvero fortunato.

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