mercoledì 29 ottobre 2025

Francesco Abate: Il cattivo cronista

 



Il vecchio voleva che avessi una busta paga blindata.
Strano per il vecchio, mio padre, strano per un avvocato, che rischia di avere gli stessi alti e bassi di un banco del pesce. Lavori? Incassi. Nessuno si presenta al bancone? Non incassi. Perdi le cause? Incassi male.
In realtà, avrebbe solo voluto che lo seguissi nella carriera come fece lui col suo vecchio, e il vecchio col suo vecchio e così via, non so nemmeno da quando.
Da tanto però, così tanto da fare dei Saporito uno degli studi legali più rispettati e temuti di questa città.
Ecco cosa li rende diversi da un qualsiasi bancone di gamberi e muggini.
C'è questo e un'altra cosa che fa la differenza.
Il pesce lo puoi vendere senza laurea. Il tuo nome sulla targhetta in ottone dello studio legale, invece, non lo puoi far incidere sino a che non hai dato ventiquattro esami, e dopo aver seguito un numero interminabile di lezioni, e leccato qualche culo d'assistente o professore. Diversamente gli appelli si moltiplicano e con loro le lezioni, le fotocopie delle dispense, le ore a studiare. Sennò si allontana sempre più la data per fissare la tesi di laurea, che è un altro bel mazzo ed è solo la porta d'accesso a un altro incubo. Esame di Stato, prova scritta e orale.
Fatti i conti, se non sei un fulmine di guerra, in tutte queste operazioni ti scappano dai cinque ai dieci anni di vita. Conoscendomi, ce ne sarebbero voluti sicuramente dieci. Dieci anni. Dai venti ai trenta, i migliori.
Dieci anni per far incidere il mio nome su quella targa che dà luce all'intonaco spento ma blasonato della vecchia palazzina di famiglia. Blasonato, come dice mio padre. Un palazzotto che nessuno del clan vuol far restaurare all'esterno: perderebbe quel tono austero che si addice al nostro, anzi al loro, marchio di fabbrica.
Vibra mio padre quando ancora il cugino Nanni, che nella famiglia è del ramo degli architetti, gli propone una bella laccata di rosa e cerca di spiegargli che nel 1889 quello era il colore originale della facciata.
Vibra e sbianca cercando lo sguardo complice di mio fratello, che si aggiusta il grosso nodo della cravatta, e muove lentamente la testa in avanti in segno di assenso con rischio di strozzarsi per via del colletto della camicia, alto, imponente e incirdinito. Enrico fa cenno di sì e liquida il cugino Nanni, cingendogli il braccio, accompagnandolo alla porta e sussurrandogli che si vedrà. Proprio come diede il ben servito a me circa dieci anni fa quando dissi a mio padre che la facoltà di Giurisprudenza da quel momento in poi avrebbe fatto a meno di un altro Saporito.
Vibrò e sbiancò mio padre.
Mi accompagnò alla porta, mio fratello Enrico, ringhiando con la voce stizzosa Te ne pentirai.
Giuro, non me ne sono pentito. Anche se ora a vedermi qui in questo lettino d'ospedale con le braccia spezzate, le gambe tenute da due chiodi di ferro che spuntano dal femore e dalla tibia, potrebbe sembrare che ho scelto la strada sbagliata. Anche se il primario ora dice ai cronisti, ai colleghi, che premono oltre la porta a vetri, che sono appena uscito dal coma, ma la situazione è delicata, la prognosi è ancora riservata e che no, non mi possono ancora parlare.
Non ho battuto la strada sbagliata, anche se ho gli occhi che sembrano due prugne secche e la lingua mentre corre fra i denti nota assenze in zona molari.
E percepisco lo spalettare dell'elicottero sulla volta dell'ospedale. Vengono per darmi, una volta per tutte, i gradi. Presidente della Repubblica, forse anche quello del Consiglio metteranno un sigillo alla mia promozione tentando una stretta di mano e un discorso commovente affianco al mio lettino. Daranno il via all'ovazione popolare, alla chiamata al servizio di stato. Perché sono stato un buon cronista, il migliore.
E poi mi sono immolato proprio di questi tempi, quando tutti non si aspettano altro che i telegiornali facciano rimbalzare sulle tavole imbandite una storia come la mia. Lava le coscienze: una vicenda così è meglio di un'indulgenza plenaria. Una bella sciacquata all'anima.
Lava le coscienze, laverà tutte le coscienze ma non la mia. Non ne ha bisogno, la mia.
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